La festa odierna
è dedicata alle Mamme.
A noi piace
ricordare tutte quelle donne che ogni giorno generano alla vita tanti piccoli, non
solo concependoli e dandoli alla luce, ma in vari modi: custodendone le fragili
vite, curandoli, consigliandoli, educandoli, sostenendoli nel cammino
educativo, con la tenerezza di un abbraccio e lo sguardo che dice: “mi stai a
cuore”.
Anche noi suore
siamo chiamate ad amare con cuore di madre, sebbene non mettiamo al mondo
nessuno, ma accogliamo e ci facciamo vicine ai figli dimenticati o a noi
affidati da altri.
Davanti a questi
piccoli, specie a quelli più indifesi, ogni giorno si rinnova in ciascuna il sì
ad amare, come madre e sorella, senza possedere.
È quanto ci
ricorda anche suor Mariateresa – che abbiamo iniziato a conoscere in questa
settimana – insieme a suor Liviana, che condivide con lei l’attenzione per i
minori in disagio.
Proponiamo uno
stralcio dell’intervista fatta a suor Mariateresa.
Oggi, insieme ad altre sorelle e a vari educatori, sei
chiamata a prenderti cura di minori che vivono varie forme di disagio. Cosa
significa esprimerti come donna e consacrata in questa attività educativo –
assistenziale secondo il cuore di madre Elisabetta?
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Nell’accogliere la mia e altrui umanità costituita di doni e ferite,
possibilità e cadute.
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Nel credere che la persona può crescere e fare passi in avanti, con un
percorso di ascolto, di valorizzazione, di promozione. La persona ha in sé
l’impronta di Dio, sempre e comunque.
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Nel comprendere che lo scoraggiamento e la tristezza nascono dall’impotenza
nel riconoscere che l’altro può scegliere anche il proprio male, perché
condizionato a volte pesantemente, della propria storia passata.
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Nel credere e costruire, giorno dopo giorno, un lavoro di squadra con gli
educatori, ognuno con il proprio ruolo, in un confronto che si fa causa comune
per il bene dei bambini affidati, in vista di un loro futuro di vita;
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Nell’affidare, nella preghiera personale e comunitaria, i ragazzi e le
ragazze vulnerabili, e le loro famiglie.
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Nel creare una rete di relazioni con famiglie del quartiere, con famiglie
amiche per sensibilizzarle alla consapevolezza delle realtà famigliari di
disagio e far crescer quelle piccole/grandi disponibilità che supportano,
sostengono…
Ho voluto fare la stessa
domanda a un’altra mia consorella, suor Liviana. Ecco la sua testimonianza.
"Esprimermi come donna e consacrata in questa attività educativa-assistenziale significa accettare di stare a contatto con la sofferenza innocente che mi richiama al mistero della vita, a tanti “Perché?!” Significa chiedere continuamente al Signore la forza per reggere la realtà quotidiana.
Il contatto con la sofferenza mi rimanda alle mie ferite. Da elisabettina direi 'le mie piaghe per essere guarite hanno bisogno delle piaghe dell'altro'. Si tratta quindi di riconoscere che ricevo molto più di quello che posso dare. Inoltre per me è fare esperienza della misericordia del Signore".
Come vivere la chiamata alla vita, generando alla vita questi piccoli, pur
senza concepirli?
Volendo loro
bene, guardandoli con occhi buoni perché imparino a guardarsi con occhi buoni;
così possono imparare a fidarsi dell’adulto e di loro stessi, vedendosi diversi
dall’immagine colpevole e cattiva con la quale sono sempre stati etichettati.
Volere bene
per me vuol dire trasmettere nelle varie esperienze - facendo i compiti,
vivendo le vacanze insieme, portandoli a sport, dalla psicologa, dal medico -
questa convinzione che mi abita: “Tu vali, tu hai qualità, hai possibilità,
credo in te, sei amato così come sei…”
Si concepiscono nel cuore imparando a guardarli come li guarda Dio, nella
preghiera.
Le ha fatto eco ancora suor Liviana
Per me significa rinsaldare ogni giorno la relazione con il Signore per
sperimentare che la mia vita ha un senso pur non generando fisicamente.
Significa godere dei miglioramenti constatati nei bambini, della loro serenità
raggiunta in forza del percorso fatto. È scuola di vita nella gratuità, a volte
non sempre facile.
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