Care
e cari giovani,
ho
ripreso tra le mani un libro molto intenso che raccoglie alcuni scritti di Simone
Weil (Attesa di Dio, Adelphi Edizioni).
Proprio nelle prime pagine, in una lettera a padre Joseph Marie Perrin,
domenicano, Simone si ferma a considerare la volontà di Dio.
Condivido
questo testo con voi, forse un po’ difficile, ma significativo; lo lascio alla
vostra riflessione.
«In
questi giorni mi sono interrogata sulla volontà di Dio: in che cosa consiste e
in quale maniera possiamo riuscire a conformarci ad essa completamente. Vi dirò
ora che cosa ne penso. Bisogna distinguere tre campi. Il primo è costituito da
ciò che non dipende in nessun modo da noi, e cioè tutto ciò che avviene
nell’universo in questo momento e tutto ciò che sta per compiersi o si compirà
in seguito, al di fuori della nostra portata. Quanto avviene in questo campo è,
senza eccezione, volontà di Dio, e qui bisogna dunque amare assolutamente
tutto, nel suo insieme e nei particolari, compreso il male sotto ogni forma: specialmente
i nostri peccati trascorsi, in quanto sono trascorsi (bisogna invece odiarli,
se per caso la loro radice è ancora presente), le nostre sofferenze passate,
presenti e future, e, ciò che di gran lunga è più difficile, le sofferenze
degli altri nella misura in cui non siamo chiamati ad alleviarle. In altre
parole, dobbiamo sentire la realtà e la presenza di Dio attraverso tutte le
cose esteriori, senza eccezioni, con la stessa chiarezza con cui la mano sente
la consistenza della carta attraverso la penna e il pennino.
Il secondo campo è quello sottoposto al dominio della volontà. Esso comprende le cose
puramente naturali, vicine, facilmente rappresentabili per mezzo
dell’intelligenza e dell’immaginazione, tra le quali possiamo scegliere,
disporre e combinare dall’esterno alcuni mezzi determinati in vista di scopi
determinati e definiti. In questo campo si deve eseguire senza debolezze e
senza indugi tutto quanto ci appare chiaramente come un dovere. Quando nessun
dovere ci appare con evidenza, bisogna seguire talvolta regole scelte più o
meno arbitrariamente, ma fisse; e talvolta seguire l’inclinazione, ma in misura
limitata. Infatti una delle forme più pericolose del peccato, o forse la più
pericolosa, consiste nel situare l’illimitato in un ambito essenzialmente
limitato.
Il
terzo campo è quello delle cose che, senza essere poste sotto il dominio della
volontà e senza essere connesse con doveri naturali, non sono però del tutto
indipendenti da noi. È il campo in cui noi subiamo una costrizione da parte di
Dio, a condizione che meritiamo di subirla e nella esatta misura in cui la
meritiamo. Dio ricompensa l’anima che pensa a lui con attenzione e con amore, e
la ricompensa esercitando su di lei una costrizione rigorosamente,
matematicamente proporzionale a quell’attenzione e a quell’amore. Dobbiamo abbandonarci
a questa spinta, correre sino al punto preciso cui ci conduce, e non fare un
solo passo in più, nemmeno verso il bene. Nello stesso tempo dobbiamo continuare
a pensare a Dio con amore e attenzione sempre maggiori per ottenere con questo
mezzo di essere spinti sempre più avanti, di essere oggetto di una costrizione
che si impadronisca di una parte perpetuamente crescente dell’anima. Quando la
costrizione si è impadronita di tutta l’anima, si è nello stato di perfezione.
Ma a qualunque grado ci si trovi, non dobbiamo fare nulla più di ciò a cui
siamo irresistibilmente spinti, nemmeno in vista del bene».
Buona riflessione,
suor barbara
barbara.danesi@elisabettine.it
Buona riflessione,
suor barbara
barbara.danesi@elisabettine.it
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