foto di gruppo in Casa Madre
Quando dei giovani
si mettono in gioco
con se stessi,
col prossimo e con
Dio,
ragazze e ragazzi
nascono percorsi di
crescita
inaspettati e decisivi
per la vita
È stata una buona sfida accettare, da parte di un
gruppo di suore elisabettine che si occupano di pastorale giovanile vocazionale
a Padova, di dare vita ad una camposcuola per un gruppo di diciannove ragazze e
ragazzi tra i sedici e i diciotto anni della Parrocchia di Brugine (PD), su richiesta
del parroco don Francesco Malaman e in stretta collaborazione con i loro
animatori.
La proposta è nata dal desiderio di far conoscere
alcune realtà di carità della città di Padova e vivere un’esperienza di
servizio, fraternità, relazione con il Signore e con il prossimo.
Il percorso,
che si è svolto dal
14 al 20 luglio, ha avuto come
sfondo la parabola del Buon Samaritano che, declinata lungo la settimana, ha
accompagnato i partecipanti attraverso i verbi-gesti che il samaritano compie
nei confronti del suo prossimo.
La residenza
è stata la Casa Madre delle suore elisabettine e i ragazzi hanno potuto
svolgere il loro servizio in tre luoghi significativi della diocesi di
Padova in cui le
stesse suore sono presenti: le Cucine Popolari, la Casa Don Luigi Maran e
l’O.P.S.A.
Ognuna di queste realtà possiede una propria storia ed un’importante vocazione
per aiutare le persone in difficoltà.
Oltre
al servizio il tempo è stato dedicato anche all’incontro con alcuni testimoni,
quali suor Lina Ragnin, stfe in servizio presso l’hospice Casa S. Chiara e Anna
con Salah dell’associazione Popoli insieme
che hanno condiviso molti contenuti interessanti sul fenomeno dell’immigrazione
e dei profughi; non è mancata la preghiera, il gioco e varie attività in gruppo
per riflettere su quanto vissuto.
Madre
Elisabetta ha accompagnato, vegliato e stuzzicato i giovani che non hanno
mancato di manifestare impegno, entusiasmo, allegria, capacità di riflessione.
Le loro
testimonianze mostrano quanto il Signore ha mosso i loro cuori.
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Dice Alessandro Manzoni: «Si dovrebbe pensare di più a far del bene che
a stare bene; e così si finirebbe anche a stare meglio». Riflessione che
inquadra perfettamente quello che noi, sette comuni ragazzi impegnati in un
camposcuola di volontariato, abbiamo colto dall’esperienza vissuta. Siamo stati
all’Opera della Provvidenza per una settimana, perciò ogni mattina ci
svegliavamo presto per essere pronti, alle 9.00, ad offrire il nostro servizio
e la nostra disponibilità. Almeno, questo era ciò che ci aspettavamo di dover
affrontare di giorno in giorno. E invece, è stato molto di più. Ce ne siamo
resi conto spingendo carrozzine, disegnando e colorando in ludoteca,
partecipando con gli ospiti a laboratori artistico-musicali, assistendo alla
loro vita quotidiana. Perché, con il nostro camice bianco, nei panni di
semplici volontari, abbiamo trovato negli ospiti dell’O.P.S.A quella simpatia,
quell'affetto, quei sorrisi di cui, senza saperlo, avevamo bisogno nella nostra
vita.
E nonostante il primo giorno non sapessimo come comportarci e fossimo
frenati, in qualche modo, dalla timidezza e dall'inesperienza, subito ci siamo
sentiti accolti, oltre che dagli ospiti, anche da tutto il personale, una
grande famiglia. Famiglia di cui, giorno dopo giorno, ci siamo sentiti parte
integrante, all'interno di un’altra realtà, un altro mondo... Quasi un sogno,
tant'è differente dalla nostra quotidianità, che, invece di spingerci a
continuare a sognare, ci ha fatto aprire gli occhi. Ad oggi, non possiamo far
altro che vedere coloro che tutti chiamano “disabili”, persone come noi, o
ancor più come qualcuno che invece di possedere qualcosa in meno, ci riesce a
regalare qualcosa in più con un semplice gesto, un sorriso, una stretta di
mano, un abbraccio. Come qualcuno che ci fa capire che non c’è bisogno di molto
per rendere felici gli altri, e se stessi. Perché è proprio vero che la
bellezza è racchiusa nelle piccole cose; è racchiusa fra i muri dell’O.P.S.A.,
fra gli alberi del grande giardino che li circonda, nei reparti in cui siamo
stati, nei volti degli operatori, degli educatori, dei medici. Nei volti di
coloro grazie ai quali abbiamo fatto e ci siamo fatti del bene.

all'Opera della provvidenza S. Antonio
Il gruppo che ha fatto servizio alle
Cucine Popolari era formato da cinque ragazzi (tre ragazze e due ragazzi) di
età compresa tra 16 e 18 anni, dal nostro animatore Fabio (operatore delle
Cucine), da Suor Barbara e da Frate Augusto.
La mattinata era divisa in due
parti: dalle 9.00 alle 11.00 e successivamente dalle 11.30 fino
alle 14.30. Le prime due ore ci dedicavamo a dare una mano per sistemare
l’ambiente (sia interno che esterno) delle Cucine, oppure aiutavamo a preparare
la macedonia ed altri elementi indispensabili per il successivo servizio agli
sportelli durante il pranzo.
Una delle tante e soddisfacenti attività
mattutine è stata trasformare una stanza in un magazzino, pulendo finestre,
veneziane, pavimento, muri e montando mensole, per creare uno spazio utile
dedicato al deposito di oggetti che arrivano sia come donazioni che non.
Un altro lavoro che abbiamo svolto con
molto impegno ed entusiasmo è stato pulire i due portici esterni non facenti
parte delle Cucine. Molte persone si fermavano o passavano a guardarci e siamo
sicuri di aver generato curiosità e fiducia da parte loro, almeno per quel poco
tempo. Nella seconda parte della mattina invece facevamo servizio agli
sportelli, cioè consegnare il pranzo a chi ne ha necessità.
Servire agli sportelli è stato un momento
unico poiché ogni giorno si vivevano situazioni diverse che ci permettevano di
stare a contatto con gli ospiti, gli ultimi della nostra società, di cui molti
si dimenticano, egoisticamente. Chi avevamo davanti allo sportello era una
persona come noi, bisognosa di aiuto ma soprattutto anche solo di un sorriso,
una stretta di mano, un saluto, qualcosa di semplice. Molti ospiti si sono
stupiti di vedere volti non familiari, così giovani e volenterosi di aiutare il
prossimo, ci hanno raccontato alcune delle loro storie, storie che porteremo
sempre nel nostro bagaglio di vita.
Questa esperienza non è stata solo
volontariato ma anche un’opportunità di crescita, di aspirazione oltre alle
nostre velleità adolescenziali, il superamento di una comodità che ti aiuta a
dormire la notte ma che non è davvero parte di noi. Noi, proseliti di questo
mondo fatto di bene e amore concreto, palpabile, volontà di giustizia.
la squadra al lavoro alle Cucine economiche popolari
Abbiamo avuto occasione di
partecipare ad un'iniziativa proposta dai nostri animatori, in collaborazione
con le suore elisabettine e con Casa Maran, a Taggì. Nonostante le nostre
iniziali perplessità, l'esperienza si è rivelata arricchente per il nostro
piccolo bagaglio d'esperienza di vita. Abbiamo prestato servizio agli anziani,
suore e non, residenti in questa casa. Abbiamo conosciuto tutte ottime persone.
Dare una mano, regalare un sorriso o un abbraccio, gesti apparentemente molto
semplici, sono stati appaganti anche per noi. È stato sorprendente scoprirsi
felici nel dedicarsi completamente al prossimo.
a Casa don Luigi Maran